Amici miei, vicini e lontani: buongiorno!
Eh, la vita è dura! Stamattina che piove sembra addirittura granitica. Con questa lamentela su Tremonti ché ha parlato di posto fisso: oddio! la giornata diventa una vera schifezza!
Ma quant’è bella l’Italia! Da una parte chi parla di posto fisso, dall’altra chi invece questi posti pensava a fissarli! Signori, qualcosa si muove…. È l’inchiesta che coinvolge anche l’ex ministro della Giustizia. E’ anche la nostra storia oppure no?
Chi ci ha seguito (come gruppo) fin dalla campagna elettorale, sa che Vivi Alife è nato come un movimento politico, ma apartitico. Le ragioni sono state elencate in un manifesto programmatico e più volte ne ho parlato anche nei comizi elettorali (tutto materiale disponibile su questo blog). Da ultimo, ho avuto una lunga discussione su questo tema (sempre su queste pagine del blog) con il caro Alfonso. Adesso sono ancora più convinto della scelta dell’apartitismo.
Un senso di fiducia, inoltre, l’ho trovato pure in questo editoriale del Corriere della Sera di Angelo Panebianco: vi invito a leggerlo e a discuterne.
Vi lascio anche un commento di Massimo Giannini, pubblicato su Repubblica di lunedì, riguardo alla Class actione di Brunetta.
Non mi resta che salutarvi.
Buona giornata.
Ciao, Daniele
Articolo tratto dal Corriere della Sera del 22 ottobre 2009 (www.corriere.it)
Il sud travolto dalle inchieste
L'EMERGENZA MERIDIONALE
di Angelo Panebianco
L’inchiesta che coinvolge l’ex ministro della giustizia Clemente Mastella, alcuni suoi familiari ed esponenti dell’Udeur è l’ultimo tassello che si aggiunge alle affollatissime cronache politico- giudiziarie campane. Ha scioccato tutti il caso di Castellammare di Stabia: il camorrista con tessera del Pd che ha ammazzato un consigliere comunale del suo stesso partito. Poi c’è stata la sconsolata intervista ( Corriere , 20 ottobre), di fatto una dichiarazione di impotenza, di Enrico Morando, commissario straordinario del Partito democratico in Campania. Mentre, a pochi giorni ormai dalle primarie del Pd, si discute se sospenderle o no in Campania, date le condizioni in cui versa il partito (come dimostrano i tesseramenti gonfiati dalle lotte di corrente). Una débâcle per il Pd in una regione nella quale la sinistra è dominante da decenni. Si aggiunga, per completare il quadro campano, che anche a destra, nelle fila dell’opposizione, non se la passano bene. Come mostra il conflitto, interno al Pdl, sulla candidatura alle regionali di Nicola Cosentino, a sua volta coinvolto in un’indagine per presunte relazioni con la camorra.Premesso che l’unico modo per salvaguardare un minimo di civiltà è tenersi abbarbicati alla presunzione di non colpevolezza per qualunque indagato, resta che i discorsi che si sentono fare sanno di vecchio. Si può continuare a guardare il dito anziché la luna e raccontarsi che il problema sono le «infiltrazioni » criminali nei partiti o il clientelismo dei politici. Ma significa prendersi in giro. I partiti, organizzati o no, pesanti o leggeri, sono strutture che si adattano all’ambiente. L’ambiente è il Paradiso? I partiti saranno composti da angeli. L’ambiente è l’inferno? Prevarranno i diavoli. L’ambiente chiede sostegno al mercato? E’ ciò che i partiti daranno. L’ambiente chiede spesa pubblica e clientelismo? I partiti soddisferanno la richiesta.Non è dai partiti ma dalla società che dovrebbe partire la bonifica. Il problema (che sta mettendo a rischio l’unità stessa del Paese) della Campania, come di vaste zone del Sud, è che non c’è più da decenni un progetto plausibile per lo sviluppo nel Mezzogiorno. Non ce l’ha la destra come non ce l’ha la sinistra. A meno che non si dica che il progetto per il Mezzogiorno sia il federalismo fiscale (si può immaginare l’effetto catartico del federalismo fiscale su Castellammare di Stabia). O la banca del Sud. O i piani per una «Lega Sud» (che sarebbe anche una buona idea ma solo se il suo slogan fosse «mettiamoci a fare denaro», ossia impegniamoci per lo sviluppo, anziché «dateci i denari»).Forse sarebbe il caso di convenire che in ampie zone del Sud (non in tutte, certo) mancano attualmente le condizioni minime che rendono praticabile la democrazia locale (comunale, provinciale, forse anche regionale) e che un commissariamento centrale si rende, per quelle zone, e per molti anni, indispensabile. In modo da coordinare interamente dal centro sia la guerra alle organizzazioni criminali sia l’imposizione (per lo più, contro le classi dirigenti locali) di progetti di sviluppo. Occorrerebbe un accordo di ferro fra maggioranza e opposizione. Siccome quell’accordo non si può fare, continueremo ad ascoltare impotenti le notizie che arrivano dalla Campania e da altre zone del Sud lamentando le solite infiltrazioni, la solita corruzione, il solito clientelismo.
Articolo tratto da La Repubblica - Affari & Finanza del 19 ottobre 2009 (www.repubblica.it)
La class action tra Brunetta e legge di Good
Di Massimo Giannini
Il decreto legislativo con il quale il governo ha introdotto la famosa "azione collettiva" contro le pubbliche amministrazioni e i concessionari di pubblico servizio è un'offesa al cittadinoutente e un insulto alle regole di mercato. Dispiace che a mettere la firma su un simile obbrobrio sia stato Renato Brunetta. All'inizio della legislatura avevamo guardato con interesse alla sfida per l'efficienza lanciata dal ministro della Funzione Pubblica. La sua battaglia contro i "fannulloni", al di là di qualche esagerazione di tono, ci sembrava meritevole. Ma col tempo i buoni propositi si sono persi per strada. Di quella campagna è rimasto il portato ideologico, sempre più insopportabile, ed è scomparso il contenuto concreto, sempre più inafferrabile. Fin dal primo momento, uno dei punti deboli della riforma Brunetta ruotava intorno a una palese asimmetria: pugno di ferro contro gli impiegati, guanto di velluto verso i dirigenti. "Pene" severe per i travet che non vogliono lavorare, nessuna pena per i capi che non sanno organizzare. L'abbiamo rimproverato più volte, al ministro. E ogni volta lui ci rimandava al varo della salvifica "class action". Bene. La "class action" è arrivata. Nei paesi anglosassoni, dove il merito è premiato davvero, questo strumento fa piangere lacrime amare, alle amministrazioni e alle imprese che producono danni all'utente o al cliente. Da noi, invece, si scopre che se un cittadino danneggiato dalla Pa si rivolgerà al giudice, quest'ultimo ordinerà a chi ha sbagliato di rimediare "entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali finanziarie e umane già assegnate in via ordinaria". E soprattutto non potrà mai condannare il "colpevole" a pagare alcuna sanzione per l'errore commesso. Con il che viene a cadere l'essenza stessa dell'"azione collettiva", che riposa proprio sul riconoscimento e il risarcimento del danno. Una beffa colossale, di cui Brunetta dovrebbe scusarsi. Per colpa sua, in Italia continuerà ad imperare la vecchia legge di Good: se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, non ti conviene accusare la burocrazia, ti conviene cambiare problema.
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