giovedì 22 ottobre 2009

Good morning, Alife

Amici miei, vicini e lontani: buongiorno!

Eh, la vita è dura! Stamattina che piove sembra addirittura granitica. Con questa lamentela su Tremonti ché ha parlato di posto fisso: oddio! la giornata diventa una vera schifezza!
Ma quant’è bella l’Italia! Da una parte chi parla di posto fisso, dall’altra chi invece questi posti pensava a fissarli! Signori, qualcosa si muove…. È l’inchiesta che coinvolge anche l’ex ministro della Giustizia. E’ anche la nostra storia oppure no?

Chi ci ha seguito (come gruppo) fin dalla campagna elettorale, sa che Vivi Alife è nato come un movimento politico, ma apartitico. Le ragioni sono state elencate in un manifesto programmatico e più volte ne ho parlato anche nei comizi elettorali (tutto materiale disponibile su questo blog). Da ultimo, ho avuto una lunga discussione su questo tema (sempre su queste pagine del blog) con il caro Alfonso. Adesso sono ancora più convinto della scelta dell’apartitismo.
Un senso di fiducia, inoltre, l’ho trovato pure in questo editoriale del Corriere della Sera di Angelo Panebianco: vi invito a leggerlo e a discuterne.
Vi lascio anche un commento di Massimo Giannini, pubblicato su Repubblica di lunedì, riguardo alla Class actione di Brunetta.

Non mi resta che salutarvi.
Buona giornata.
Ciao, Daniele

Articolo tratto dal Corriere della Sera del 22 ottobre 2009 (www.corriere.it)

Il sud travolto dalle inchieste
L'EMERGENZA MERIDIONALE
di Angelo Panebianco

L’inchiesta che coinvolge l’ex ministro della giustizia Cle­mente Mastella, alcuni suoi familiari ed esponenti dell’Udeur è l’ultimo tassel­lo che si aggiunge alle affol­latissime cronache politi­co- giudiziarie campane. Ha scioccato tutti il caso di Castellammare di Stabia: il camorrista con tessera del Pd che ha ammazzato un consigliere comunale del suo stesso partito. Poi c’è stata la sconsolata intervi­sta ( Corriere , 20 ottobre), di fatto una dichiarazione di impotenza, di Enrico Mo­rando, commissario straor­dinario del Partito demo­cratico in Campania. Men­tre, a pochi giorni ormai dalle primarie del Pd, si di­scute se sospenderle o no in Campania, date le condi­zioni in cui versa il partito (come dimostrano i tesse­ramenti gonfiati dalle lotte di corrente). Una débâcle per il Pd in una regione nel­la quale la sinistra è domi­nante da decenni. Si ag­giunga, per completare il quadro campano, che an­che a destra, nelle fila del­l’opposizione, non se la passano bene. Come mo­stra il conflitto, interno al Pdl, sulla candidatura alle regionali di Nicola Cosenti­no, a sua volta coinvolto in un’indagine per presunte relazioni con la camorra.Premesso che l’unico modo per salvaguardare un minimo di civiltà è te­nersi abbarbicati alla pre­sunzione di non colpevo­lezza per qualunque inda­gato, resta che i discorsi che si sentono fare sanno di vecchio. Si può continua­re a guardare il dito anzi­ché la luna e raccontarsi che il problema sono le «in­filtrazioni » criminali nei partiti o il clientelismo dei politici. Ma significa pren­dersi in giro. I partiti, orga­nizzati o no, pesanti o leg­geri, sono strutture che si adattano all’ambiente. L’ambiente è il Paradiso? I partiti saranno composti da angeli. L’ambiente è l’in­ferno? Prevarranno i diavo­li. L’ambiente chiede soste­gno al mercato? E’ ciò che i partiti daranno. L’ambien­te chiede spesa pubblica e clientelismo? I partiti sod­disferanno la richiesta.Non è dai partiti ma dal­la società che dovrebbe partire la bonifica. Il pro­blema (che sta mettendo a rischio l’unità stessa del Pa­ese) della Campania, come di vaste zone del Sud, è che non c’è più da decenni un progetto plausibile per lo sviluppo nel Mezzogior­no. Non ce l’ha la destra co­me non ce l’ha la sinistra. A meno che non si dica che il progetto per il Mez­zogiorno sia il federalismo fiscale (si può immaginare l’effetto catartico del fede­ralismo fiscale su Castel­lammare di Stabia). O la banca del Sud. O i piani per una «Lega Sud» (che sarebbe anche una buona idea ma solo se il suo slo­gan fosse «mettiamoci a fa­re denaro», ossia impegnia­moci per lo sviluppo, anzi­ché «dateci i denari»).Forse sarebbe il caso di convenire che in ampie zo­ne del Sud (non in tutte, certo) mancano attualmen­te le condizioni minime che rendono praticabile la democrazia locale (comu­nale, provinciale, forse an­che regionale) e che un commissariamento centra­le si rende, per quelle zo­ne, e per molti anni, indi­spensabile. In modo da co­ordinare interamente dal centro sia la guerra alle or­ganizzazioni criminali sia l’imposizione (per lo più, contro le classi dirigenti lo­cali) di progetti di svilup­po. Occorrerebbe un accor­do di ferro fra maggioran­za e opposizione. Siccome quell’accordo non si può fa­re, continueremo ad ascol­tare impotenti le notizie che arrivano dalla Campa­nia e da altre zone del Sud lamentando le solite infil­trazioni, la solita corruzio­ne, il solito clientelismo.


Articolo tratto da La Repubblica - Affari & Finanza del 19 ottobre 2009 (www.repubblica.it)

La class action tra Brunetta e legge di Good
Di Massimo Giannini

Il decreto legislativo con il quale il governo ha introdotto la famosa "azione collettiva" contro le pubbliche amministrazioni e i concessionari di pubblico servizio è un'offesa al cittadinoutente e un insulto alle regole di mercato. Dispiace che a mettere la firma su un simile obbrobrio sia stato Renato Brunetta. All'inizio della legislatura avevamo guardato con interesse alla sfida per l'efficienza lanciata dal ministro della Funzione Pubblica. La sua battaglia contro i "fannulloni", al di là di qualche esagerazione di tono, ci sembrava meritevole. Ma col tempo i buoni propositi si sono persi per strada. Di quella campagna è rimasto il portato ideologico, sempre più insopportabile, ed è scomparso il contenuto concreto, sempre più inafferrabile. Fin dal primo momento, uno dei punti deboli della riforma Brunetta ruotava intorno a una palese asimmetria: pugno di ferro contro gli impiegati, guanto di velluto verso i dirigenti. "Pene" severe per i travet che non vogliono lavorare, nessuna pena per i capi che non sanno organizzare. L'abbiamo rimproverato più volte, al ministro. E ogni volta lui ci rimandava al varo della salvifica "class action". Bene. La "class action" è arrivata. Nei paesi anglosassoni, dove il merito è premiato davvero, questo strumento fa piangere lacrime amare, alle amministrazioni e alle imprese che producono danni all'utente o al cliente. Da noi, invece, si scopre che se un cittadino danneggiato dalla Pa si rivolgerà al giudice, quest'ultimo ordinerà a chi ha sbagliato di rimediare "entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali finanziarie e umane già assegnate in via ordinaria". E soprattutto non potrà mai condannare il "colpevole" a pagare alcuna sanzione per l'errore commesso. Con il che viene a cadere l'essenza stessa dell'"azione collettiva", che riposa proprio sul riconoscimento e il risarcimento del danno. Una beffa colossale, di cui Brunetta dovrebbe scusarsi. Per colpa sua, in Italia continuerà ad imperare la vecchia legge di Good: se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, non ti conviene accusare la burocrazia, ti conviene cambiare problema.

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