sabato 10 ottobre 2009

A proposito di libertà di stampa e di partiti

Rispondo volentieri ad Alfonso (dal sito http://www.alifehappy.blogspot.com/)

Caro Alfonso,
grazie per il tuo commento e grazie per l’apprezzamento (e condivisione) del mio post sulla libertà di stampa. Ti rispondo subito, come ti aspetti. Considero due domande (faccio una semplificazione per cercare di stringere il discorso. Poi, se ti va, mi chiederai chiarimenti dove sono stato poco esplicito).

La prima domanda è “perché per me la manifestazione è stata una pagliacciata”. Semplice: perché non credo che in Italia non ci sia libertà di stampa. Secondo me, anzi, ce n’è fin troppa di libertà di stampa, e anche di parlare e dire tutto ciò che si pensa (capisci il senso: non c’è limite alla libertà e, dunque, la libertà non è mai “troppa”!). Preciso: “c’è troppa libertà di dire quello che si pensa” significa, per me, che nessuno più oggi, prima di parlare, fa quel semplice esercizio di analizzare se quelle sue parole sono conformi a certi principi, a certe regole che non sono né di destra né di sinistra, ma fanno parte del sano e corretto convivere sociale (per non dire: principi “naturali”). Oggi, chiunque può alzarsi una mattina e, premettendo la formula magica “secondo me”, può permettersi (alias è libero) di dire ciò che vuole e – peggio – può congetturare qualsiasi cosa, senza considerare le conseguenze che ne possono derivare. Non riesco a capire, dunque, chi dice che in Italia non c’è libertà di stampa. Ma è meglio parlarci chiaro: la pseudo-manifestazione per la libertà di stampa era una manifestazione contro il Governo (o meglio il capo del Governo). Io non ho alcuna tessera di partito; faccio un esempio e lascio a te le conclusioni. Citando solo le “grandi” testate, al Pd fanno riferimento Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, L’espresso, Famiglia Cristiana e da poco anche il Sole24Ore; al Pdl fanno riferimento: il Giornale, il Tempo e Libero. E non dimentichiamoci che noi cittadini abbiamo in mano la possibilità di comprare un giornale o un altro, oppure di vedere un canale o un altro alla Tv, semplicemente cambiando canale con il telecomando.

La seconda domanda riguarda il mio “apartitismo”. Potrei risponderti semplicemente che sto onorando una promessa fatta in campagna elettorale con la Lista Vivi Alife. Appunto: una lista non schierata con un partito tradizionale, per le ragioni che ho messo in evidenza prima nel manifesto programmatico e poi nei comizi (trovi tutto nel blog). Attenzione: Vivi Alife è un gruppo “politico”, ma apartitico (la politica è una cosa, il partito un’altra). Cerco di spiegare meglio il mio “pensiero”. Un uomo di Governo, a proposito del federalismo, ha affermato: «non c’è migliore deterrenza dell’esautoramento di chi ha sbagliato, con il ritorno alle urne e l’ineleggibilità degli amministratori falliti». Un’affermazione, secondo me, impossibile da non condividere! Una soluzione che dovrebbe essere un principio: la mancata riaffermazione elettorale, ricorrendo al giudizio senza appello delle urne. Che significa: chi non è riuscito nell’intento di una buona amministrazione, sociale e territoriale, non merita la riconferma nel ruolo che ha mal rivestito. Ma per funzionare bene questo principio è necessario che sia condiviso e fatto proprio dagli elettori. Qui il problema: siamo sicuri che si tratta di un principio unanimemente condiviso? Al Nord come al Sud? A Torino come a Napoli? A Bergamo come ad Alife? Probabilmente no, altrimenti il “problema Mezzogiorno” (o Campano, come lo chiami tu) non sarebbe sopravvissuto agli avvicendamenti di tante tornate elettorali. La verità è che al Sud c’è una questione superiore, causa e origine di tutte le altre: è la questione culturale. Sarà l’atavica diffidenza nello Stato, sta di fatto che tra elettori e amministratori ovunque sul territorio è stretto un tacito compromesso: la rappresentanza per favorire gli interessi individuali, non quelli del bene collettivo. Non ci sono appassionate sedi di partito, come l’esperienza racconta della Lega al Nord; in cambio, però, ci sono ferventi collegamenti interpersonali tra rappresentanze politiche e gruppi familiari (meglio aziendali). A destra e a Sinistra. E pure al Centro. Con questa strana teoria, la scelta di voto tra diversi candidati – si guarda solo ed esclusivamente alla “persona” mentre poco importa la fede politica e il colore del partito – non è mai avvenuta, né potrebbe avvenire, in ragione di competenza, credibilità o affidabilità, ma sempre e soltanto in funzione del «chi», più e meglio degli altri, può sostenere e difendere il tornaconto personale. Più che dura è una realtà «incredibile». Ma resta la realtà. Realtà vissuta quotidianamente anche da tante persone che la pensano diversamente – purtroppo non così tante da riuscire ad invertire questo diffuso senso di illogicità, prima che di illegalità – e che devono accontentarsi «di meno» pur «spendendo di più». Per esempio, pagando di più l’Irap in Campania a motivo dello sfondamento della spesa sanitaria. Oggi, caro Alfondo, noi cittadini dell’Italia meridionale preferiamo restare dei “Sud-diti” delegando ad altri il compito di difendere i nostri interessi personali (non sociali), piuttosto che assumerci la responsabilità di porci come autori e attori del nostro vivere quotidiano.
Grazie di nuovo.
A presto, daniele.

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